Pietro Scidurlo, 37 anni, racconta la propria testimonianza. Una testimonianza che ci invita a riflettere sull’importanza di superare le barriere fisiche o mentali che affrontiamo ogni giorno. Pietro è un vero ambasciatore della Via Francigena e della sua accessibilità, affinchè tutti possano scoprirla e viverla nella sua pienezza.
Volontà, coraggio, determinazione e tanta passione animano da sempre Pietro Scidurlo, sulla sedia a rotelle dalla nascita. Il suo impegno a favore dell’accessibilità della Via Francigena è un piccolo, grande passo verso l’abbattimento delle barriere ed ostacoli che troviamo sul cammino. Grazie per questa bella testimonianza, che condividiamo con tutti i lettori:
Ad ogni mio passo risuonano dentro di me le parole, ancora attualissime, del Mahatma Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
Ho sempre creduto che fosse molto difficile parlare di un percorso come il Cammino di Santiago, anche per una persona come me che, a causa di un errore altrui, ha visto la propria vita totalmente stravolta, ritrovandosi a solcare il mondo su una sedia a rotelle. Una persona che nonostante tutto ha vissuto l’esperienza del cammino profondamente e per più volte, una persona che nella ricerca di una via, di una propria strada da percorrere, la trova proprio lungo il pellegrinaggio verso Santiago De Compostela.
Figuriamoci quindi se parliamo di un cammino come la Via Francigena, percorsa ancora oggi da poche persone, ancor meno solcato da persone con esigenze speciali. Per certi aspetti, quindi, ancor più complicato rispetto all’itinerario spagnolo.
Mi chiamo Pietro Scidurlo, sono in sedia a rotelle da quando sono nato e per diversi anni non ho mai accettato la mia condizione di disabilità. Poi un giorno percorro il Cammino di Santiago e la mia vita cambia per sempre.
Per questo nelle prossime righe, forse diversamente da ciò che avete letto sino a oggi, vi parlerò di una Francigena diversa, di quella Francigena che vorrei e che forse oltre a me molte altre persone vorrebbero.
Paolo Rumiz durante il cammino alla riscoperta della Via Appia ha affermato che lui e i suoi compagni non stavano solo ripercorrendo l’Appia Antica, la stavano ritrovando, la riconsegnavano al Paese dopo decenni di incuria e depredazione. La Via Francigena merita altrettanta cura, merita di essere esplorata, riscoperta per essere un Cammino in grado di donare l’emozione dell’incontro, del mistero, dell’accoglienza aperta veramente a tutti, della cultura di quegli usi e costumi di un’Italia, che per quanto vicina, forse non si conosce ancora del tutto o almeno non nei suoi aspetti più autentici.
Dopo aver percorso e descritto il Camino Françes attraverso “Santiago Per Tutti”, la prima guida al mondo accessibile relativa questo itinerario (Edizioni Terre di mezzo), mi è stato chiesto più volte di rivolgere le mie attenzioni verso i cammini italiani; per questo nella Free Wheels Onlus si è ultimamente parlato di Via Francigena per tutti.
Credo che il primo passo sia cercare di capire cosa si intenda quando si dice che un cammino può essere percorso da tutti. Fino a oggi, in quasi tutti gli ambiti si è usata tale affermazione lasciando credere che chiunque può accedere qualunque esperienza senza alcuna variazione. Ma vi garantisco che non è esattamente cosi. Servono alcune attenzioni.
Free Wheels, anche grazie anche alle nuove tecnologie, quando studia un percorso punta a suggerire valide soluzioni a delle difficoltà che si incontrano nei lunghi cammini. Cerchiamo soluzioni adatte anche a coloro che hanno esigenze speciali: disabili motori, sensoriali, cognitivi. Persone soggette a Dialisi o che fanno più fatica nel trasporto del peso. Celiaci, diabetici gravi, vegani, persone che si muovono con figli in tenera età o animali al seguito.
Parlando quindi di Esigenze Speciali, è giusto chiarire anche il concetto di tale termine, oggi spesso utilizzato con varie accezioni che riconducono a limitate condizioni di azione o a volte a una malattia. Seppur ancora oggi molte persone non ne siano consapevoli, la disabilità è un universo e come tale riguarda tutti. Perché tutti, in vari periodi della vita, siamo disabili. Gli esempi sono molteplici, lo è un bambino quando fatica a camminare e preferisce il passeggino, altrettanto lo è la madre girando con una carrozzella, lo è un ragazzo che giocando a calcetto si sloga una caviglia, lo saremo tutti invecchiando risultando quindi incapaci di portare lo stesso sacchetto della spesa che per anni abbiamo portato senza fatica. Esiste però anche un secondo fattore che ci rende più o meno disabili ed è la società. La disabilità non è la caratteristica di un individuo, ma un insieme di condizioni, molte di esse causate dall’ambiente circostante. Si può essere più meno disabili a seconda dell’azione che ci si deve accingere a fare. Personalmente posso sembrare più disabile nel dover affrontare una scalinata che l’intero Cammino di Santiago.
Chiariti questi aspetti è più facile comprendere che non sempre si può, in un lungo cammino, rispettare il percorso “Ufficiale”, dimenticando per un solo secondo che l’obbiettivo è il viaggio e non la strada che si percorre e non la destinazione. Argomenti che sappiamo possono avere più importanza nel momento in cui si parla delle motivazioni che ci spingono a intraprendere un pellegrinaggio, come ad esempio la motivazione religiosa.
Un altro importante aspetto sul quale l’amico Girumin (Giancarlo Cotta Ramusino) mi ha portato a riflettere in uno dei nostri tanti incontri, è legato al percorso che si sceglie di fare, in quanto esso deve tener conto delle proprie possibilità. Tutte le persone, nessuno escluso, si muovono in funzione delle loro condizioni, ma per i disabili questa condizione ha un peso fondamentale. Mentre i “normodotati” (definizione che non amo particolarmente in quanto legata al concetto di normalità) possono viaggiare nel Dove, chi invece ha esigenze speciali è spesso costretto a viaggiare nel Come. Ma cosa significa tutto ciò? Molto semplicemente che la maggior parte dei Pellegrini o dei Viandanti può pensare di viaggiare indipendentemente da quale strada li chiamerà portandoli a scorgere panorami unici nel loro genere. Al contrario, una persona con esigenze speciali è costretta a pensare, nel rispetto di quelle esigenze che assumono priorità nella loro vita, a come raggiungere quei panorami unici, purché ve ne sia la possibilità.
Mi piacerebbe però che queste persone non pensassero alle cose che non possono fare, bensì a tutte quelle cose di cui i Cammini sono ricchi, come il vivere la storia dei paesi attraversati e fermarsi a conoscere i popoli che sono nati e cresciuti lungo questi itinerari. Magari valorizzando un momento di preghiera in una chiesa millenaria o scorgendo la bellezza nella semplicità dei riti religiosi. Il saper cogliere opportunità diverse renderà tanto speciale il vostro cammino, anche se non potrete scalare montagne o giungere in remoti angoli di mondo. Questo è un concetto che mi piacerebbe abbracciasse tutti.
Nonostante sentiamo nostro questo messaggio positivo, mi voglio soffermare un secondo rivolgendomi ad ogni livello a tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno voce in capitolo. Spero un giorno di poter far sentire la mia voce nelle giuste sedi:
“Amministrazioni ad ogni livello, Sovraintendenze che vi occupate di Cammini, lavorate per favore perché un giorno le Vie che designerete come Ufficiali siano percorribili da Tutti, e se vi sono ostacoli, appianateli; se vi sono ruscelli, costruite ponti e rendeteli transitabili da tutti; Se vi sono pietre, chiedete ad ogni pellegrino di coglierne una e gettarla al lato della strada; ben presto vi accorgerete come quella strada sarà percorsa da molte più persone, perché da una “pietraia” scorgerete una “strada bianca”. Se farete ciò, non snaturerete il percorso, perché il vero cammino è nell’anima, e non nei piedi e dove essi vi portano. Ma è credo diritto umano di tutte le persone avere pari opportunità di poter viaggiare dentro al viaggio allo stesso modo, senza dover ricorrere a deviazioni, spesso su tratti non in sicurezza perché in mezzo al traffico.”
La cosa però più dolente, e quella che riguarda le Ospitalità. Se una strada la si trova sempre, facendo riferimento all’anello debole della catena (alle persone a mobilità ridotta, le più colpite in un’esperienza dove la prerogativa è camminare), la stessa cosa non si può dire per un tetto sotto il quale dormire. Vorrei una Francigena più attenta, consapevole e critica verso se stessa; che comprenda che tutte le persone, indistintamente dal modo di muoversi possano viverla. Se consideriamo le accoglienze pellegrine, esistono molte strutture d’accoglienza, ma sono sicuramente poche se si pensa che il percorso è lungo 1000 km, dal Passo del San Bernardo a Roma. La maggior parte di esse sono di natura parrocchiale, spesso in ambienti di difficile accesso, e comprensibilmente poco ritrutturabili per accogliere anche persone con esigenze speciali. Ciò non toglie però che le stesse parrocchie possano trovare o creare nuovi spazi, più facili.
Senza dimenticare che spesso (per non dire sempre) ciò che fa differenza è il tipo di accoglienza. Ho avuto la possibilità di sostare lungo il Cammino di Santiago in albergues parroquial completamente inaccessibili, come Grañon, ma dove gli hospitaleros con i loro modi la loro praticità hanno reso accessibile qualsiasi luogo. Spesso basta poco per rendere la struttura accessibile, anche perché se cosi è, va a vantaggio di tutti. Dove passa una sedia a rotelle, passa chiunque.
Ma come ci sono strutture di questo tipo, sono certo che quando mi incamminerò troverò anche delle strutture pensate e realizzate in modo diverso; accoglienze che vedendo sull’itinerario persone diverse, diversificheranno anche i loro servizi e forse cominceranno ad aumentare le rampe d’accesso, i passaggi in beole dove prima c’era la ghiaia, le stanze al piano terra (ove possibile), ristrutturati i bagni con le forze disponibili o chiedendo ai pellegrini di passaggio mano d’opera professionale per rendere accessibili gli spazi.
Mi piacerebbe che l’Italia, come ci ha creduto la Spagna, facilitasse l’apertura di accoglienze lungo gli itinerari culturali a costi più agevolati per coloro che scelgono di visitare il “Belpaese” alla scoperta proprio di quella storia in cui i nostri Cammini sono immersi.
Un cammino per crescere ha bisogno di persone che lo attraversino, di volti che raccontino tra i sentieri del proprio viso il vissuto di quell’esperienza la condivisione con la storia dei paesi attraversati e dei loro popoli. Ma i volti di un cammino non sono solo quelli di coloro che lo vivono, ma anche di coloro che vorrebbero viverlo.
Mi piace pensare che un giorno tutti potranno percorrere i lunghi cammini, che le ospitalità saranno pronte ad accogliere tutti, che gli ospitalieri conosceranno le attenzioni più apprezzate e corrette verso le persone con esigenze speciali, come chiedere sempre prima di spingere una persona in sedia a rotelle o sfiorare il braccio di un non-vedente prima di rivolgergli la parola per indirizzare la comunicazione.
E’ importante capire la necessità di queste attenzioni per prendere consapevolezza della presenza di queste persone sui cammini, e consentire anche a loro di vivere questa esperienza alla pari degli altri.
Questa è la Francigena che vorrei: la Francigena per tutti.
Pietro Scidurlo