La via Francigena parte da Canterbury, in Inghilterra, e, attraverso la Francia, la Svizzera e l’Italia arriva fino a Roma. Attraverso l’Italia, durante il Medioevo, passavano le maggiori vie di comunicazione del Mediterraneo, e fino alla caduta nel XIV secolo di San Giovanni d’Acri, ultimo baluardo crociato in Oriente, il punto di arrivo della via Francigena erano Brindisi e le coste pugliesi per imbarcarsi per Gerusalemme. Alla fine di questo secolo, Gerusalemme fu definitivamente sostituita da Roma come meta principale di pellegrinaggio, e chi si impegnava ad andarci, prendeva il nome di “Pellegrino Romeo”. Il viaggio del pellegrino, che in linea teorica andava fatto a piedi, era tutt’altro che facile. Prima di mettersi in cammino il pellegrino si riconciliava con tutti, faceva testamento e, fatto assai più raro, pagava i propri debiti. Escludendo i rischi derivanti da una società tendenzialmente violenta ed anarchica come quella medievale, dove non era raro incontrare lungo il cammino gruppi di briganti e bande armate, le maggiori insidie derivavano soprattutto dalla spossante fatica delle lunghe marce attraverso luoghi aspri e selvaggi come i valichi Alpini e Appenninici, e naturalmente, dalla fame. Tuttavia lungo la strada, soprattutto in determinati luoghi come chiese e monasteri, l’ospitalità non mancava ed era di casa. Si può avere un interessante resoconto di questa vita negli scritti di Sigeric da Canterbury, prelato inglese ed arcivescovo dell’omonima città, vissuto a cavallo del X secolo d.C, narrante il viaggio di ritorno da Roma, dopo aver preso il paramento liturgico direttamente dalle mani di papa Giovanni XV.
La descrizione del viaggio è molto precisa soprattutto per quanto riguarda i punti di sosta, dove i pellegrini si rifocillavano, riposavano e si scambiavano racconti ed informazioni sulla strada da percorrere. In questo resoconto si fa anche riferimento al vitto, prevalentemente a base di pane, zuppe di verdure stagionali (insaporite, quando si era fortunati, da qualche pezzo di carne o lardo di maiale) e pesce bollito. In questi racconti si intravede come il cibo non si identifichi con il solo bisogno fisiologico di sostentarsi, insito in ogni creatura vivente, ma come sia anche espressione culturale dei vari luoghi e paesi lungo il cammino, simbolo di ospitalità e condivisione umana. Attraverso il cibo e ai riti legati ad esso, si può comprendere in larga parte lo spirito e la cultura che pervadono in Italia il cammino della Via Francigena.
Cosa mangiava il pellegrino nel Medioevo?
E’ difficile immaginarsi cosa mangiassero i pellegrini della via Francigena nel Medioevo, al tempo in cui l’ Italia non era ancora stata inondata dal pomodoro. Poi bisogna immaginarsi che i gusti e le preferenze di questi pellegrini potessero essere molto più eterogenei di quanto siano oggi, e che sfamarli potesse essere un’impresa tutt’ altro che banale per l’ oste. Mentre potrebbe sembrare ragionevole che al giorno d’oggi un Inglese, un Francese e un Italiano possano accordarsi su cosa significhi “pasta al dente” sulla base di Wikipedia e altri catalizzatori di conoscenza senza frontiere, nel Medioevo uno cresceva con poche certezze trasmesse verbalmente di generazione in generazione. D’ altra parte ci si potrebbe anche sbagliare completamente in questa analisi. Il concetto di nazione è una delle oscenità del secolo ventesimo, forse diciannovesimo. Prima dell’ avvento della televisione i contadini della pianura padana non sapevano nemmeno cosa fosse la pizza. Ma rimaniamo fedeli al primo punto di vista, che i gusti e le preferenze alimentari dei pellegrini della via Francigena potessero essere molto più eterogenei al tempo. Per esempio, ammettendo che nella zona di Parma già fosse in uso di cospargere di parmigiano qualsiasi pietanza, è difficile che un atteggiamento del genere potesse essere tollerato a Brindisi. Probabilmente i pellegrini Inglesi erano gli unici felici allora, tanto quanto adesso, di lasciare l’ Inghilterra e assaggiare pietanze un po’ più sofisticate e gustose di quanto ne fossero disponibili sull’ isola.
Ma i Francesi? I Francesi sono interessanti, perchè al giorno d’ oggi è quasi impossibile trovare un Francese fuori dalla Francia. Che forse si vedessero più Francesi fuori dalla Francia nel Medioevo? Chi lo sa. E gli Italiani? Se i pellegrini Italiani della via Francigena si limitassero a dirigersi a Roma per motivi spirituali come sostengono, in teoria non avrebbero bisogno di lasciare l’ Italia. Di fatto, la via Francigena provocava e provoca un enorme riflusso di Italiani per il mondo, in cerca di amore o altro. Perché ci sono più Italiani che Inglesi a Londra? Ma non vorrei divagare troppo su temi che potrebbero sembrare secondari. Quindi, torniamo più vicini al nostro punto di partenza per non perdere il filo del discorso.
Il cibo dei pellegrini lungo il cammino doveva essere facilmente conservabile e strettamente legato alla stagionalità. Quando si fermavano per rifocillarsi chiedevano ospitalità o alloggiavano presso le locande, nelle quali si sfamavano in base alle disponibilità economiche. Il cibo che si serviva era molto salato, sia per essere meglio conservato, sia in modo da indurre molta sete nei viandanti, così che l’oste potesse vendere una maggiore quantità di vino. All’osteria come per il viaggio, i pellegrini preferivano dissetarsi proprio con il vino: l’acqua poteva essere inquinata e dannosa per la salute mentre il vino, anche se di cattiva qualità, conteneva l’ alcool, che garantiva una certa asetticità. La tipica alimentazione del pellegrino era a base di zuppe come ad esempio: la paniccia a base di cereali e legumi, il macco, una vellutata fatta con legumi secchi, ma anche salumi e formaggi. L’alimento più consumato era il pane, soprattutto la sua variante nera, fatto con grano tenero, segale, orzo, crusca di frumento, farina di fave e di castagne. La prima testimonianza scritta di una ricetta per pellegrini risale al XV secolo quando un cuoco di origine tedesca, Giovanni Bockenheym, scriveva nel suo ricettario: “Prendi le fave, lavale bene in acqua calda e lasciale così tutta una notte. Poi falle bollire in acqua fresca, tritale bene e aggiungi vino bianco. Condisci con cipolla, olio di oliva o burro, e un po’ di zafferano” – questo piatto – “sarà buono per i chierici vaganti e per i pellegrini”. Un altro alimento diffuso soprattutto quando il pellegrino veniva ospitato nelle case private era il Pulmentum. Questa specie di minestrone era fatto con verdure di stagione, cereali, legumi e condito con un po’ di lardo a pezzetti.
Cosa mangia il pellegrino oggi?
Torniamo al campo delle ipotesi e delle divagazioni. Il pellegrino oggi è probabilmente più cosciente di attraversare confini che un tempo non erano percepiti come tali. Oggi, a causa delle identità nazionali, il pellegrino si sente a casa in città dove non è mai stato, e si sente in dovere di percepire differenze che forse non sono tali. Per esempio, un pellegrino di Lione potrebbe assaggiare con interesse esotico un vino giovane del Piacentino, senza poter accettare fino in fondo che si tratti sostanzialmente della stessa cosa del suo caro Beaujolais. Un pellegrino Inglese invece, nel suo sconfinato interesse per le culture altrui, troverà facilmente bacon & eggs in un qualche finto pub della bassa padana. Ma parliamo degli Italiani, in riflusso e no. Non c’è dubbio che ci sia molto campo all’ interno dell’ Italia per il turismo gastronomico tra Italiani e altri Italiani, grazie alla forte eterogeneità tra regioni. Per esempio un Siciliano in Lombardia probabilmente si sente come un Norvegese in Togo. Gli Italiani in riflusso a Londra invece sono tutta un’altra storia, in genere seguono un ciclo più o meno ellittico. Prima si innamorano delle cose più genuine e grezze, perfino disposti a leccare l’ olio bruciato che gocciola da un fish & chips. Poi cominciano a sentirsi un po’ a disagio e si autoproclamano ambasciatori dell’ Italia. Poi tornano a casa.
Torniamo di nuovo al filo del discorso. Oggi i pellegrini nel cammino per Roma godono di ben altri comfort e vivande, rispetto ai loro antenati. Una volta arrivati alla meta però si può fare un piccolo gesto riconciliante col passato, in pieno spirito di ospitalità e condivisione. In alcuni panifici della capitale italiana è possibile acquistare il cosiddetto “Pane dell’accoglienza”. Su ogni pagnotta è impressa la croce del “Tau”, simbolo dell’ordine religioso dei francescani e ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Questo pane può essere acquistato secondo la tradizione di Napoli per quanto riguarda il caffè, ovvero lasciando il conto pagato per il cliente successivo. Gli alimenti in cui è possibile imbattersi lungo la via Francigena in Italia sono ricchi e variopinti: formaggi stagionati, come il Parmigiano Reggiano a Parma e provincia o i pecorini toscani e romani. Salumi locali, come il prosciutto crudo a Parma, la coppa Piacentina, il salame di Felino, la mortadella di Bologna, il lardo di Colonnata, la finocchiona della Toscana. Per non parlare dei vini, come il Barolo piemontese, il Bonarda e il Barbera, presenti sempre in Piemonte ed Emilia, il frizzante Lambrusco emiliano ed il Sangiovese toscano, da cui ha origine il famoso Chianti.
Pietro Vesperoni
Fonti: Taccuini Storici, La Cucina Italiana, Musei del Cibo