II coronavirus come occasione di intendere un nuovo modo di fare turismo e di vedere il mondo.
Sono uno di quelli che se appena può si sposta a piedi. Di quelli che arrivano normalmente alla soglia di 10.000 passi al giorno. Sono uno di quelli che, anche con una semplice camminata a qualche chilometro da casa, – meglio ancora se in collina -, mette in movimento pensieri, idee, creatività. Il cammino influenza in senso positivo la salute del mio corpo e della mia mente.
Come tutti quanti, vivo con grande difficoltà e senso di fragilità questo periodo di isolamento sociale e, soprattutto, di limitata attività motoria legata al coronavirus. Cerco di prendere i miei 30’ “di aria” al giorno, in un raggio di 200 m da casa, non avendo a disposizione sentieri isolati di campagna da percorrere liberamente. Vado con disagio al supermercato una volta ogni 9-10 gg, con guanti e mascherina, facendo attenzione massima all’igiene personale.
Da qualche giorno ho smesso di seguire in modo quasi compulsivo le news legate al coronavirus, dalla stampa internazionale a quella italiana, da quella locale passando ai gruppi chiusi con presunti esperti di virologia. Mi informo e mi aggiorno, cercando tuttavia di relativizzare le cose visto che questo periodo sarà lungo. Meglio abituarsi ad uno stile di vita diverso, cercando di trasmettere energia positiva verso l’esterno.
Fatico a capire quando torneremo ad abbracciarci. Ho paura. Tanta. Ci convivo cercando di trovare un nuovo ritmo e un equilibrio quotidiano mentre vedo intorno un mondo ammalato che combatte con dignità e forza, facendo fatica a rialzarsi. Provo un disarmante senso di impotenza.
Dopo una prima fase iniziale che ci ha indotto a pensare che dal 3 aprile p.v. avremmo ripreso la vita di prima con gite fuori porta, treni, aerei, incontri, aperitivi serali, viaggi da pianificare, siamo presto passati alla fase di una realtà ben diversa di quella che gli esperti ci avevano prospettato. Molte cose non torneranno come prima ed è necessario trasformare il nostro modo di vivere, abituandoci a un nuovo approccio resiliente e responsabile. Molte cose potrebbero comunque cambiare in positivo, come una maggiore attenzione all’ambiente, la qualità dell’ aria e riduzione delle emissioni, l’economia circolare, un nuovo modo di immaginare il futuro. Infine il tempo, quello che prima non mi bastava mai per finire gli impegni e i “doveri quotidiani”, assume un nuovo valore.
È iniziata una fase dove si iniziano a pensare o immaginare nuovi scenari del turismo post coronavirus. Come ripartire. Come reagire. Come riavviare un settore importante che oggi vale intorno al 10% del PIL. È ancora presto per individuare soluzioni alternative anche se le riflessioni convergono sul fatto che sarà necessario cambiare la prospettiva, sapersi rinnovare e ci sarà un boom del turismo di prossimità e delle località minori.
L’Itinerario europeo della Via Francigena rappresenta la sintesi perfetta di quella che potrebbe essere una splendida rinascita del turismo esperienziale, culturale, sostenibile, outdoor. Un turismo delle persone e di qualità. Parliamo di un percorso di 3.200km che attraversa l’Europa da nord a sud e, ai tempi della Brexit, mette in rete quattro Paesi: Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia. Di questi quattro, due non sono nell’Unione Europea, ma rappresentano un melting pot di culture straordinarie che ben si sposano con la Via Francigena.
Oggi questo cammino unisce 16 regioni europee e 615 comuni, molti dei quali sono piccoli borghi o realtà territoriali di dimensioni ridotte ubicate in aree rurali. Lungo il cammino operano inoltre migliaia di piccole e medie imprese, guide ambientali e escursionistiche, addetti ai lavori, associazioni culturali che trovano proprio nella Via Francigena un motivo di crescita. In riferimento allo scorso anno si può calcolare che l’indotto generato solo dai camminatori della Via Francigena è stato superiore ai 20 milioni di euro. È vero che il turismo della Via Francigena (e dei cammini) è un piccolo segmento del mercato turistico generale, ma ha una grandissima potenzialità.
- Perché allora non inserirla in tutti i piani strategici di sviluppo territoriale delle regioni e comuni attraversati?
- Perché non prendere la Via Francigena come esempio per il rilancio del turismo su scala nazionale di ciascuno dei 4 Paesi attraversati? Iniziando dai 35km in Inghilterra, a seguire una lunga spina dorsale di 1.000km in Francia, 200km in Svizzera e 1900km in Italia?
- Perché non inserirla successivamente come “prodotto di bandiera” all’interno delle politiche di promozione dell’ agenzia nazionale del turismo (insieme a tutti i cammini che oggi stanno vivendo una fase di rilancio), con una adeguata campagna di comunicazione?
Difficilmente si potrebbe trovare un prodotto migliore di questo itinerario culturale che può coniugare la dimensione transazionale e interregionale, la bellezza con la sostenibilità, la cultura con l’arte, la gastronomia con le terme. E, soprattutto, ha un’anima spirtuale e immateriale che la rende unica. Per questo motivo la Via Francigena dovrà cercare di connettersi sempre più a Roma e San Pietro, la sua meta finale. Proprio l’anima della Via Francigena rappresenta un valore aggiunto importante, ancor di più lo sarà al tempo del post coronavirus che sta portando una grande sofferenza interiore alle persone e nelle nostre famiglie: il cammino potrà aiutare anche a dare un prezioso riconforto alle persone e ai nostri bisogni immateriale, diventando la metafora della nostra vita contemporanea.
Ripensiamo insieme -istituzioni, operatori culturali e categorie economiche, associazioni- il turismo con queste coraggiose premesse.
Un turismo fatto di persone, di cammini e di lentezza. E un nuovo modo di vedere il mondo.
Ho voglia di tornare a camminare sulla Via Francigena e di condividerne la sua straordinaria bellezza.
Luca Bruschi
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