Il comune di Cavaglià si estende su una superficie di circa 25 Kmq, ad un’altezza di 271 m. s.l.m., in un’’area abitata fin dall’antichità. Il comune di Cavaglià si estende su una superficie di circa 25 Kmq, ad un’altezza di 271 m s.l.m., in un’area abitata fin dall’antichità. Di seguito gli edifici che caratterizzano maggiormente la città. Chiesa parrocchiale di San Michele Grande costruzione in stile neoclassico, sorse su progetto del 1779 dell’architetto Filippo Castelli in seguito alla demolizione della precedente parrocchiale, divenuta troppo esigua per le 2.500 anime che Cavaglià contava. Fu consacrata nel 1798, prima che l’edifico fosse ultimato; la facciata fu compiuta nel 1886. All’interno è l’organo dei fratelli Sarassi di Bergamo, pagato con una pubblica sottoscrizione e collaudato nel 1821.
Gli altari, su disegno dello stesso Castelli, sono opera di G. Cattaneo. La chiesa è una delle più ampie di tutta la diocesi. Il campanile appare decisamente piccolo; si tratta infatti di quello della vecchia parrocchiale demolita ed è opera in pietra risalente alla seconda metà del XVI secolo. Santa Maria di Babilone Chiesa a pianta ellittica risalente all’inizio del secolo XVII, è stata definita il miglior monumento barocco secentesco del Biellese; il suo architetto va ricercato tra i seguaci di Antonio Vitozzi (1539 – 1615). Al suo interno da notare un altorilievo in stucco policromo raffigurante i Re Magi che offrono doni a Gesù Bambino, notevole per antichità; si tratta infatti di un’opera dei secoli XII – XIV, tratta dalla primitiva chiesa successivamente demolita.
Chiesa dei Santi Francesco e Bernardino Era in origine la chiesa della Confraternita dei Disciplinati, sorta sui resti di una precedente a partire dal 1664. Tra le opere più importanti che si trovano al suo interno, quattro dipinti murari (sec. XVIII) – in parte danneggiati dall’umidità – che rappresentano episodi della vita di San Francesco d”Assisi. Interessanti anche l”altare maggiore a intarsi marmorei e la balaustra, scolpiti originariamente per la chiesa parrocchiale e qui trasportati nel 1728. Chiesa di Cagliano Riedificata a partire dal 1650 e completata nel 1746 per essere utilizzata dai fedeli che vivevano in una zona piuttosto lontana dal centro del paese, porta l’impronta di due costruzioni diverse. Il lato nord dell’edificio e il campanile risalgono infatti, con ogni probabilità, al secolo XI.
L’altare maggiore è sormontato da una tela, raffigurante la Sacra Famiglia e con ancona in legno dorato e dipinto, opera di Pietro Lace di Andorno (1718). Tra i dipinti, da notare quelli raffiguranti Sant’Antonio da Padova e San Francesco d’Assisi, recanti la data del 1651. Oratorio di San Rocco L’oratorio fu demolito e ricostruito verso il 1746, in seguito ad un voto della popolazione dopo una pestilenza che colpì il bestiame. Soppresso nel 1807 dal Vescovo di Vercelli, venne riaperto al culto con il ritorno dei Reali Sabaudi. All’interno l’altare e l’ancona in finto marmo sono opera dei luganesi Solari, databili attorno alla metà secolo XVIII. Personaggi illustri Giovanni Gersen, abate presso l’abbazia di Santo Stefano di Vercelli dal 1229 al 1240, è ritenuto l’autore del libro di spiritualità L’imitazione di Cristo. Il testo, di cui sono stati rinvenuti finora 828 manoscritti, ebbe grande. Secondo la tradizione, il Gersen nacque nell’attuale cascina Campi di Giugno, demolita e poi ricostruita nel 1912.
Storia
L’etimologia del nome, secondo il Rondolino, andrebbe ricercata nella voce celtica “caula”, cioè cavità naturali formate da colli isolati e da catene di colli a guisa di valli o convalli. Il nome primitivo sarebbe stato Caulliaca, ovvero luogo delle valli o convalli. Cavaglià sorge in un’area popolata sin dall’antichità; i Celti diedero nome a diverse regioni intorno all’abitato principale. Vi sono stati rinvenuti resti di strade, lapidi ed altri oggetti che testimoniano quindi la dominazione romana.
Il primo documento scritto da cui si apprende l’esistenza di un luogo chiamato Cavaglià, formato da un territorio definito e da una unione di case, è una donazione del 961; allora Cavaglià era dominio del monastero di Santo Stefano di Vercelli e tale resterà fino al 963, quando un certo conte Aimone ne avrà il possesso. Da questo momento in avanti diversi Conti si succederanno. Nel 1257 Cavaglià si proclama borgo franco e stringe alleanza con quello di Vercelli. Dopo le lotte coi Visconti, i Savoia nel 1426 la annetterono al loro Ducato per tenerla fino al 1616, quando venne venduta al Conte Solaro di Moretta a causa dei debiti. A partire dal secolo XVII il territorio fu caratterizzato dal continuo passaggio di eserciti.
Nel 1630 una grave epidemia di peste provocò molti danni, così come il transito delle truppe francesi, dirette ad Ivrea, all’inizio del XVIII secolo. Nel 1799, caduta la monarchia dei Savoia, si instaurò il regime repubblicano; il soggiorno degli austro-russi in Piemonte coinvolse naturalmente anche Cavaglià, segnando così uno dei periodi più difficili della sua storia. Nel 1814, dopo la fuga di Napoleone dall’isola d’Elba e il ripristino del governo sabaudo, le truppe austriache tornarono in zona: Cavaglià dovette provvedere ad alloggiare 4.600 soldati; ancora nel 1859 calarono gli austriaci, accampati nella vicina Salussola, portando con loro la minaccia del colera che, otto anni dopo, avrebbe mietuto numerose vittime.
Sul finire del secolo XIX le condizioni di Cavaglià andarono sensibilmente migliorando, tanto che nell’ultimo decennio la popolazione crebbe da 2.400 a 3.000 abitanti. Nei primi anni del Novecento, grazie alla tenacia del sindaco Giacomo Salino, con una grande festa venne inaugurato l’acquedotto comunale. Nel 1910 venne installata invece l’illuminazione elettrica. Intanto l’emigrazione coinvolgeva buona parte della cittadinanza; particolarmente numerosi furono i cavagliesi che lasciarono il paese per la Francia e la Svizzera. All’inizio del secolo il comune di Cavaglià era agricolo per l”80%, anche se timidamente cominciavano a sorgere le prime piccole industrie. La prima guerra mondiale, che qui fece 56 morti oltre a centinaia di invalidi e feriti, portò con sé anche un’epidemia di “spagnola”, che falcidiò buona parte della popolazione. Nel dopoguerra, la disoccupazione e il rilassamento di tutte le attività produttive furono protagonisti; provvidenziale in quel periodo fu l’immigrazione dal Veneto, che permise di colmare i vuoti lasciati da guerra e malattie.
Con l’avvento del fascismo e durante il periodo dell’autarchia Cavaglià, dove il 65% della popolazione attiva era dedita all’agricoltura, godette di un certo benessere, tanto che – per sfruttare l’agiatezza delle famiglie rurali – venne aperto in paese un secondo istituto di credito. Dal 1920 al 1930 nuove attività ed aziende sorsero nel paese. Con l’inizio del secondo conflitto mondiale, l’agricola Cavaglià divenne centro di rifornimento clandestino di generi alimentari di tutto il Biellese. Al finire della guerra era zona transito per tedeschi, partigiani e repubblichini. Il 30 aprile del 1945, in seguito al ritrovamento presso il municipio di materiale bellico appartenente ai partigiani, i tedeschi fecero saltare con la dinamite la sede del comune, distruggendo l’ufficio del catasto, archivi, magazzini e ufficio tecnico.