Ho camminato per quattro giorni lungo la Via Francigena, nel tratto che va da Bolsena a Capranica (nel Viterbese). Ero in compagnia di altre 18 persone. Conoscenze vecchie e nuove unite dalla voglia di condividere un punto di partenza, un tragitto e un punto d’arrivo.
Un passo alla volta. Caldo, fatica, sudore e vesciche permettendo. Si sta molto insieme, camminando. E si sta anche molto da soli. Il che permette al tempo, e allo spazio, di prendere respiro. Di dilatarsi, di restringersi. Per diventare qualcosa di differente dal solito tempo e dal solito spazio. Mentre si procede semplicemente in avanti, in linea più o meno retta, i pensieri seguono per conto loro rotte anche molto alternative, incrociandosi a piacimento e in ogni direzione con i pensieri, le esternazioni e le emozioni altrui per tessere trame nuove e imprevedibili. Anche indecifrabili, a volte. Una mappa piuttosto fitta di sensazioni e aneddoti ed esperienze e parole e silenzi che non esiste da nessuna altra parte se non lì, in quel momento. Di mezz’ora in mezz’ora. Di tappa in tappa e di sosta in sosta. Dentro il cammino. Più facile farlo che provare a spiegarlo, in effetti.
Il “ritmo” del cammino, comunque, sembra non avere niente a che vedere con quello del mondo reale. Anche se avviene nel mondo reale. Le notizie, i messaggini, le telefonate, le notifiche che arrivano sul cammino sembrano quasi stonare con il ritmo dei passi. S’intersecano malamente con il fresco sorprendente regalato dall’ombra di un albero. Non sorprendono più di quanto non possa fare un’improvvisa folata di vento. O una piccola fitta alla schiena. Tutto ciò che è inevitabile sembra diventare quasi più superfluo e leggero. In qualche misura, perfino più sopportabile. Anche se c’è chi fa a gara per stabilire chi sgancerà la bomba più grande; chi si tarocca la democrazia per trasformarla il più possibile in una dittatura; chi continua a salpare via dalla solita guerra per approdare nella solita indifferenza. Chi giura di ritornare e forse lo farà. O chi invece se ne va per sempre e non tornerà più. Tutto sembra andare comunque avanti e scorrere come se fosse un po’ più semplice di quanto realmente non sia. Lungo tutto lo spazio e per tutto il tempo che serve. Dentro ogni pensiero possibile. Un passo dietro l’altro.
Filippo D’Arino
Fonte: La Stampa