Una strada faticosa si trasforma in opportunità. Il racconto finale del direttore di Varesenews Marco Giovannelli che riassume esperienze ed emozioni di un viaggio più dimensioni
I piani di lettura sono tanti, e ognuno si interseca con gli altri in una narrazione densa di riflessioni ed emozioni. Così, a caldo, mi viene da dire che la Via Francigena è una straordinaria opportunità.
Lo è sul piano individuale, su quello culturale, su quello collettivo e anche sociale.
È un cammino di straordinaria bellezza che permette al pellegrino di immergersi nella natura, ma anche nelle problematiche che viviamo ogni giorno.
Lo sguardo è diverso perché si è centrati prima di tutto su se stessi. Il procedere giorno dopo giorno, passo dopo passo, richiede prima di tutto una capacità di ascolto del proprio corpo e poi della propria anima. La psiche parla molto ed è bene ascoltarla. Racconta di noi permettendoci di andare più in profondità alla scoperta di lati di noi spesso sopiti nella nostra quotidianità.
Lo si avverte anche nello sguardo e nel racconto dell’altro. In questo io sono stato molto fortunato perché prima di partire ho cercato di capire cosa fosse stato meglio per me vivere dentro quella esperienza. L’avrei vissuta nella totale intimità o avrei provato ad aprire questa dimensione fortemente personale anche alla condivisione con le persone che avrebbero voluto seguirmi?
Non avevo molta esperienza in proposito perché il viaggio in Vespa di cinque anni fa o quelli in Nicaragua, erano stati completamente diversi e soprattutto non richiedevano la fatica che avrei dovuto affrontare durante il cammino della Francigena.
Sono contento di aver scelto di condividere la mia esperienza. Lo sono per molte ragioni.
Quando nel gennaio di quest’anno ebbi qualche problema sanitario, dopo un momento di difficoltà, riflettei sull’opportunità che mi veniva offerta. La crisi può esser vissuta in modi diversi. Sul “come” viverla, dipende da noi e dalle energie di cui disponiamo. Spesso esse sono solo un dono e non ne abbiamo alcun merito, ma questa è una ragione di più per ascoltarsi e decidere. Per me i diversi giorni in ospedale hanno voluto dire molto. Sperimentai la fatica, la sofferenza, l’affidarmi, la solidarietà, la scoperta di sensazioni diverse e infine, anche la vicinanza con la morte. Il mio vicino di stanza, il grande Maurizio Arcieri, ci avrebbe lasciati proprio il giorno dopo in cui io sarei stato dimesso.
Ecco, la scelta del cammino è maturata come una risposta a una crisi. Non solo fisica, ma che coinvolgeva molto di me stesso. Ha ragione Paola, una donna incontrata lungo una tappa, quando dice che il cammino è il modo migliore di entrare in contatto con la propria anima.
Si parte dall’ascolto quindi. Del proprio corpo, perché se lui non ci supporta non si può procedere, ma soprattutto di ogni altra parte di noi stessi.
La nostra parte razionale va sempre a pescare in quell’area che vive con fastidio ogni processo di cambiamento. Lo esprime bene mia mamma quando mi chiede: “Ma te l’ha ordinato il dottore?”. Quella parte di noi, fatta eccezione per chi ne ha già fatto una scelta di vita, suggerirebbe di lasciar stare. Davvero: chi te lo fa fare? Fatica, sudore, problemi con i piedi, scomodità, e in più te lo paghi anche. Non tanto, ma diciamo che è difficile spendere meno di mille euro per ventidue giorni di cammino considerando anche i viaggi in treno per il punto di partenza e per il rientro.
Oggi sono contento di aver ascoltato ogni parte di me e non solo quella che mi frenava perché spaventata del cambiamento che avrebbe portato il cammino.
La Via Francigena è molto bella. Potrei muovere tante critiche, e ci sarà tempo e modo per farlo, ma credo sarebbe il solito atteggiamento che deve andar a trovare cosa non va piuttosto che valorizzare quello che merita.
Ho scelto di partire dalla Cisa per poter percorrere il tratto su cui è stato fatto il maggior lavoro. Questo poi mi avrebbe permesso con uno sforzo ulteriore sul progetto iniziale, anche di arrivare fino a Roma. Se volete una scelta parzialmente di comodo, ma non avrei avuto un tempo maggiore e poi per la verità anche solo sei mesi fa avrei considerato irrealizzabile fare oltre 560 chilometri a piedi. Figuratevi 900.
Le prime tappe si snodano lungo l’Appennino tosco emiliano fino a portarci a ridosso del mar Tirreno. Sarzana e Pietrasanta sono state una grande scoperta. Con loro, i tanti piccolissimi borghi sulle montagne. La Lunigiana è poco conosciuta, ma è una terra straordinaria. Il passaggio all’Apuania è il meno bello. Troppo asfalto, ma soprattutto una lunga sequenza di marmifici e fabbriche. Da Pietrasanta a Lucca una tappa interminabile, ma di una bellezza incredibile. Si va su e giù scoprendo tanti luoghi poco noti. Poi arrivano tappe da restar increduli per la bellezza. Da Altopascio a San Miniato e poi Gambassi terme fino ad arrivare a San Gimignano che non ha certo bisogno di presentazione. Da lì a Monteriggiori e infine a Siena.
A questo punto si percorrono tre tappe da paura sia per ciò che si incontra che per la fatica. Ho trovato un caldo a tratti asfissiante, ma che mai, a parte Radicofani, ha messo a rischio il proseguimento del cammino. Ponte d’Arbia è una “tappa tecnica”, utile per spezzare una strada altrimenti impossibile per distanze più lunghe. San Quirico d’Orcia ci da l’idea di cosa sia quella regione e Radicofani chiude un cerchio con una storia e una bellezza di primo ordine. Dai suoi 8-900 metri a seconda di dove ci si trovi, si dominano tutte le vallate e ci si rende conto di cosa siano Toscana e Lazio. A metà della tappa successiva si entra in provincia di Viterbo dove si rimane per quasi sei tappe. È la provincia che ha il maggior numero di pernottamenti. Inizia ora a prender consapevolezza della ricchezza della via Francigena. Con i suoi due laghi, Bolsena e Vico, con borghi incantevoli e teatro di strada splendidi, la Tuscia potrebbe diventare meta di tanti pellegrini e anche di trekking diversi.
Da lì a Roma ormai la strada è poca, ma non le sorprese. La tappa da Campagnano a La storta è una delle più affascinanti e merita molto.
L’emozione degli ultimi chilometri l’ho descritta nell’ultimo articolo. Dalla terrazza panoramica di Monte Mario si inizia a capire che il viaggio volge ormai a termine. Il resto della strada si compie volando.
Il cammino però non è solo il proprio corpo, la propria anima e le tappe fisiche.
Per me il suo nucleo energetico è nell’incontro con gli altri. Con i pellegrini, con i volontari o con semplici persone con cui ti fermi a parlare. A me colpisce ancora la signora ultra ottantenne di Vecchietro, sopra Aulla, che mi ha raccontato come stava e cosa fosse stato quel paese 50 anni fa. Dolce con una forte malinconia, mi stava presentando la realtà sociale meglio di come avrebbe fatto un trattato di sociologia. Poi gli incontri anche con alcuni amministratori. In tutto quattro assessori e un sindaco. In tutti l’entusiasmo e l’orgoglio di raccontare un momento importante. È anche grazie a loro che la via Francigena sta crescendo. Persone non conosciute ma che lavorano seriamente e lo fanno con passione. Filattiera, Altopacio, san Gimigano, Siena e Montefiascone sono i paesi in cui li ho incontrati.
Dei volontari non si finirebbe mai di parlare. Ognuno con la propria storia e convinzioni. Si va da chi ha come faro Santiago di Compostela e cerca di rifar vivere il proprio ostello come fossimo su quel cammino, a chi fa i turni per tener aperta una struttura che altrimenti non potrebbe vivere a chi invece prende le ferie e va in un paesino di cento abitanti perché fare l’hospitalero è una esperienza unica. Con loro un grande merito va anche ai diversi religiosi che aprono le proprie case per ospitare i pellegrini. Suor Ginetta a Siena merita una particolare menzione perché negli spazi dove lei lavora e vive transita una tale energia che anche chi non crede esce con qualche dubbio in più. Una donna che vive l’attenzione ai più deboli con una tale carica che si fatica a immaginare dove prenda tante risorse. Tutti la descrivono così e non sono pochi quelli che tornano anche se la notte da lei è stata una delle più difficili.
Ho letto molto i libri dove i pellegrini lasciano i messaggi. Se ne dovrebbe fare una vera opera perché li passa la narrazione autentica di cosa sia la Via Francigena.
Questo cammino è anche tanta arte e cultura. Su questo non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. O forse invece sì perché sembra quasi che noi non si abbia alcuna consapevolezza del l’immensa fortuna che abbiamo. Ci è stata lasciata una eredità di cui non abbiamo alcun merito. Dovremmo saperlo e ricordarlo. La ricchezza che offre l’Italia è immensa e non possiamo considerarla solo nostra. Intanto però sarebbe bene iniziare a considerarla.
Ho scelto la via Francigena e non Santiago anche per questo. Avevo visto giusto e sono felice di averlo fatto. Occorre crederci e far crescere questo cammino per le ragioni che in questi giorni ho provato a raccontare e per tante altre che ognuno di voi potrà trovarci.
Prima di partire ho letto tutto quello che è stato pubblicato in italiano. Guide, racconti, diari sono molto utili e interessanti. È straordinario leggere ma è bene ricordarci sempre che ognuno di noi vede quel che la propria persona proietta.
Non c’è una realtà, ma tante proiezioni del proprio modo di essere che rendono ancor più ricca la narrazione. A modo mio ho provato a fare la mia, di narrazione. Considerate che avevo solo uno smartphone per scrivere. Con questo ho pubblicato sui social e approfitto per ringraziare tutti per le migliaia di like e commenti, sul mio blog e soprattutto su VareseNews grazie all’impegno dei miei collaboratori. Quello che ho scritto è invece responsabilità solo mia, ma devo un infinito grazie a tantissime persone incontrate che hanno stimolato il mio sguardo. Senza di loro il cammino sarebbe stato diverso.
Marco Giovannelli su VareseNews