Via Francigena

Come scegliere l’abbigliamento perfetto per il tuo cammino

La scelta dell’abbigliamento per un cammino di più giorni, o anche un’escursione di una giornata sola, è uno degli aspetti più importanti di un’avventura immersa nella natura. Così com’è di fondamentale importanza optare per uno zaino idoneo e delle scarpe adatte, è ugualmente decisivo scegliere bene che tipo di capi indossare durante il cammino. Abbiamo chiesto qualche consiglio a Matteo Corrado, ideatore del brand italiano CAMCO e appassionato di trekking, per aiutarci a prepararci al meglio alla prossima avventura sulla Via Francigena!

Scegliere un capo tecnico per un cammino (di uno o più giorni)

Ci sono numerosi aspetti da prendere in considerazione: tutti noi che camminiamo con uno zaino sulle spalle, sappiamo bene quanto sia importante ridurre il più possibile il peso di quel che trasportiamo.
Parlando di abbigliamento, è quindi importante considerare il peso dei capi e quanti ne portiamo. Certo, se si parla di magliette e pantaloncini, a non stare attenti al peso del singolo capo, ci si gioca qualche grammo o qualche etto, ma la quantità di magliette e pantaloncini che ci portiamo dietro ha sicuramente un impatto che comincia ad essere rilevante – anche come spazio occupato.

Poter disporre di capi realizzati in un tessuto che sia leggero, ma che in questa leggerezza riesca comunque a garantire prestazioni elevate, è un jolly da giocarsi.
Ma quali sono le prestazioni importanti per noi pellegrini? Onestamente sul podio io piazzo:

  1. Comfort sulla pelle, ovvero un tessuto morbido, termoregolatore, con ottima gestione dell’umidità corporea, ipoallergenico, traspirante;
  2. Praticità, che declino soprattutto nella capacità del tessuto di impedire la proliferazione di batteri e il conseguente insorgere di cattivi odori (cosa che consente anche di poter indossare il capo per più giorni successivi se non si ha l’opportunità di poterlo lavare a fine giornata – e magari evitiamo di aggiungere una maglietta nello zaino), resistente allo sporco e di rapida asciugatura;
  3. Protezione dai raggi UV.

Che non è legato direttamente alla tecnicità della dotazione per camminare, ma che rientra in un discorso più ampio: se il capo tecnico ha un “aspetto” casual, senza grafiche e con linee semplici “ever-green”, lo si può anche indossare per le attività post-camminata facendo una discreta figura e, ancora, limitando la quantità di quel che ci portiamo dietro.

I tanti vantaggi di un capo in lana merino

La lana merino, così come le fibre di TENCEL™ (che costituiscono il 50% del tessuto dei prodotti CAMCO, a lato del 50% costituito dalla lana merino extrafine, biologica e mulesing-free), ha tutte le proprietà elencate sopra.

Il vantaggio rispetto ad un capo tecnico in fibre sintetiche, o contenente anche fibre sintetiche? Un capo della seconda categoria, delle qualità elencate sopra ha solamente le ultime tre: resistenza allo sporco, asciugatura rapida e protezione da raggi UV.
Per tutte le altre in elenco, sappiamo tutti benissimo che non sono propriamente delle caratteristiche di questi prodotti.
Del resto una fibra sintetica è, nella maggior parte dei casi, un sottoprodotto della raffinazione del petrolio. Lasciando da parte la mancanza di tutte quelle qualità elencate precedentemente… ma davvero può essere allettante l’idea di avere a contatto con la pelle prodotti della lavorazione del petrolio? Vogliamo camminare nella natura indossando prodotti chimici? Il poliestere, la fibra sintetica più diffusa, fa parte della famiglia del PET – la plastica delle bottigliette per le bibite, per intenderci.

Si parla continuamente di sostenibilità, ma come si riconosce un brand davvero etico?

Si parla anche troppo di sostenibilità, nel senso che c’è anche tanto greenwashing.
Spesso si mette in pista una qualche azione realmente volta alla sostenibilità e la si pubblicizza con grande enfasi, quando poi tutto il resto riguardante quel prodotto o servizio, di sostenibile ha ben poco.

Di base, per farsi un’idea della sostenibilità di un prodotto d’abbigliamento, bisogna guardare alle fibre che lo compongono, alla loro provenienza, al processo di produzione, al loro comportamento durante il loro utilizzo, a quel che succede a fine vita… e anche al modello di business.

Essendo molteplici le fibre e le produzioni, sottolineo in cosa i prodotti CAMCO sono sostenibili, poi ognuno può facilmente farsi una idea di come possa funzionare per altri capi.

I prodotti CAMCO, tanto per cominciare, sono solo 6, non seguono le mode e non si ragiona per collezioni stagionali, hanno linee semplici proprio perché il focus del modello di business è la sostenibilità unita alla qualità e all’eticità, per prodotti semplici che non passino di moda, non seguendole.

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Il tessuto impiegato è un mix di due sole fibre: 50% TENCEL™ e 50% lana merino extrafine, biologica certificata GOTS e mulesing-free.
TENCEL™ è il nome commerciale dato dall’azienda austriaca Lenzing AG alla generica fibra di lyocell quando è prodotta da loro.
Potete visitare il sito di Lenzing e scoprirete quanto questa azienda sia virtuosa per quel che riguarda la sostenibilità – tanto da essere stata premiata dalla Commissione Europea.
Per riassumere il loro approccio: il legno utilizzato per la produzione delle fibre di TENCEL™ proviene da foreste gestite sostenibilmente e il processo produttivo a ciclo chiuso recupera il 99% dei solventi, impiegando una quantità limitata di acqua ed energia. Inoltre, è una fibra biodegradabile e compostabile.

La lana merino extrafine che impieghiamo è biologica certificata GOTS e mulesing-free, e questi due aspetti sono legati più che altro all’eticità della scelta di CAMCO.
Una lana merino extrafine è una fibra naturale, di origine animale, rigenerativa. Periodicamente ricresce sul corpo delle pecore, ha bisogno solo di acqua ed erba, se vogliamo semplificare.
Il fatto che sia biologica e mulesing-free, invece, è una scelta etica, legata al benessere delle pecore.

Per quanto riguarda la sostenibilità delle fibre durante la vita del capo d’abbigliamento: ci sono tessuti composti da fibre sintetiche riciclate, e questo va bene perché da un lato si evita di produrne di nuove e dall’altro le si rimette in circolo senza che vadano a finire in qualche discarica. Resta però il problema del rilascio di microplastiche durante il lavaggio, con tutto che i prodotti contenenti fibre sintetiche sono molto lontani dal prevenire la formazione di odori, e perciò richiedono spesso di essere lavati.

Una volta che poi il prodotto ha cessato di essere utilizzato, infine, si pone il problema dello smaltimento per le fibre sintetiche, essendo – volendo semplificare, ma neanche troppo – plastica. I prodotti CAMCO sono in fin dei conti composti da vello di pecora e legno. Il loro destino a fine vita, perciò, è meno problematico rispetto a quello dei comuni capi tecnici in fibre sintetiche.

Un’ultima osservazione che vorrei fare riguarda le etichette.
Spesso nella nostra buona intenzione di voler indossare fibre di origine naturale, scegliamo capi pubblicizzati come “100% lana merino”. Bene, ho notato spesso, da consumatore nei tempi “ante-CAMCO”, che questa dicitura, se non errata, è sicuramente fuorviante. Che sia scorretta lo lascio al giudizio di ciascuno. Il punto è che molte volte con questa affermazione si intende far riferimento al fatto che “il 100% della lana presente nel capo è lana merino”, ma la lana non rappresentava il 100% della composizione, su cui si glissava.
Inutile dire che le altre fibre presenti fossero spesso e volentieri anche sintetiche.
Questa ultima osservazione vuole solo essere un invito a tenere alta l’attenzione quando si sceglie cosa mettere a contatto con la pelle.

Cosa ti ha spinto a creare il brand Camco?

Anni fa, ero solito comprare abbigliamento di un produttore britannico, in un tessuto analogo a quello che utilizza CAMCO, la cui produzione avveniva in Portogallo.
Un giorno questa produzione è stata spostata nel sud est asiatico.
Il marchio sottolineava come le aziende produttrici fossero tenute a rispettare degli standard da esso imposti, ma se ci si sposta dall’altra parte del mondo è perché si sacrifica qualcosa in virtù di un margine maggiore. Che siano minori tutele dei lavoratori o dell’ambiente, la differenza di costo qualcuno la paga. Lavoratori, o ambiente, o entrambi.
A quel punto ho smesso di essere cliente e ho pensato che altri consumatori potessero essere rimasti delusi come lo ero stato io, e ho pensato di proporre un qualcosa di analogo.
Questa volta però non mi sarebbe bastato produrre in Europa, già che ero in pista, ho voluto una produzione realmente italiana.

CAMCO non è la classica situazione di una sola parte del processo svolta in Italia per poter apporre l’etichetta “made in Italy”: dal filato al prodotto finito, tutto il processo produttivo avviene in Italia.
Tessitura, tintura, purgatura, finissaggio, in Veneto; confezione in Puglia.
Le etichette di composizione e del logo e le scatole di cartone – che non impiegano collanti – sono prodotte a 10 minuti di distanza dalla sede di CAMCO, i cartellini nelle marche, le buste in polietilene in cui sono inseriti i prodotti sono in materiale 100% riciclato e riciclabile e prodotte in provincia di Varese.
Per le future produzioni, l’idea è di stare nel raggio di pochi kilometri anche per quelle fasi produttive che per i prodotti attuali sono state effettuate in Veneto e Puglia.

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Redazione AEVF