Sono una persona profondamente indipendente, tendo (purtroppo) a fare tutto senza chiedere aiuto, amo incontrare persone nuove e, altrettanto, amo il silenzio. Ma se c’è una cosa che raramente faccio da sola è camminare.
In tanti anni di trekking e, ultimamente, anche di cammini, i miei passi si sono sempre mossi accanto a quelli di qualcun altro. Certo, non ho mai rinunciato a fare qualcosa perché ero da sola. Ho esplorato percorsi nuovi, sono arrivata a ghiacciai… Conosco le emozioni contrastanti del camminare in solitaria: il senso di isolamento, la bellezza di essere circondati esclusivamente dalla natura, l’inquietudine a volte affiorante e la sensazione di potercela fare, appagante come poche. Ma se posso scegliere, preferisco in due o in gruppo.
Condividere bellezza ed emozioni
Credo che la molla che mi fa preferire il camminare insieme sia quella della condivisione. Quando vivo qualcosa di bello ho bisogno di condividerlo, in tempo reale. Di avere qualcuno al mio fianco cui dire: guarda! O che mi faccia osservare qualcosa che mi sta sfuggendo. O che mi stringa la mano senza parlare perché in quel momento è emozionato quanto me.
Nel 2021 sulla Via Francigena, con la Road to Rome, ho vissuto una dimensione di condivisione moltiplicata almeno per cento, perché davvero tante sono state le persone con cui mi sono ritrovata a camminare. Avevamo in comune un percorso a piedi, con tutta la ricchezza che può offrire, e anche un obiettivo, quello della valorizzazione di questo Cammino fantastico. Nel mio caso specifico, c’era un terzo livello di condivisione, perché ha partecipato anche mio marito, Mauro, come me appassionato di trekking e outdoor. Non è frequente, lo vediamo da anni, camminare in una dimensione di coppia, ma è la nostra.
Nel caso della Road ci siamo trovati in una situazione diversa da tutte quelle vissute fino allora ma, proprio per questo, molto significativa: eravamo in due in un gruppo che variava ogni giorno, e ogni giorno avevamo il piacere di parlare con persone diverse e anche quello di riabbracciare qualcuno che avevamo incontrato due giorni prima e che già ci sembrava di conoscere da sempre. Era bello riprendere i discorsi iniziati, camminare insieme ancora un po’. E fare anche pochi passi con tante persone che venivano ad accoglierci, a farci conoscere con gioia la bellezza della loro terra.
Camminando nel Paese migliore
In quattro giorni abbiamo percorso a piedi più di cento chilometri, da Lecce a Santa Maria di Leuca, traversando la terra salentina e le sue meraviglie. Ma più che i chilometri dovremmo usare, come unità di misura di quei giorni, e di ogni esperienza che abbiamo fatto a piedi, gli incontri.
In particolare, dopo l’isolamento provocato dalla pandemia è stato bellissimo ricominciare a parlare con persone mai viste prima, comunicare in altre lingue e di conoscersi senza reticenze. Camminare proietta immediatamente in una dimensione di essenzialità, elimina le tossine fisiche ma soprattutto quelle interiori. Quando prepariamo lo zaino mettiamo solo quello che ci serve veramente. Allo stesso modo, quando camminiamo ci ritroviamo in pochi minuti a parlare delle cose davvero importanti, di quello che siamo veramente. Il resto è appesantimento. Lo stesso vale per le persone dei vari luoghi: ti vedono a piedi con lo zaino e sono immediatamente ben disposte, aperte, incuriosite e, spesso, stupite. Abbiamo visto, nelle strade interpoderali, degli uomini fermi agli incroci che ci guardavano passare, fuori dalle loro macchine, e quando abbiamo cercato di liberare il passaggio hanno risposto di no, di andare tutti, perché non avrebbero più visto tanta gente tutta insieme.
Capita spesso, camminando in Italia, di riscoprire un Paese che si rimbocca le maniche, che arriva lì dove le amministrazioni non arrivano, che dà senza chiedere, è orgoglioso della propria bellezza ed è stanco di vederla trascurata. Chi accoglie con generosità i pellegrini della Francigena o si fa in quattro per dipingere un cartello segnaletico che aiuti i viandanti lo fa perché crede in un Paese diverso da quello descritto nei telegiornali.
Quando ci si mette in cammino si tocca con mano tutto questo e diventa più semplice ricordare che le persone hanno fame di orizzonti. Di spazi esterni ampi ma soprattutto di un senso del proprio stare al mondo. Con tutti i messaggi di divisione da cui siamo bombardati, camminare consente di rafforzare la propria individualità e di sentirsi parte di un tutto. Io provo di più queste sensazioni camminando insieme.
L’avventura moltiplicata
Certamente conta molto anche un fattore strettamente personale, ed è il fatto che la mia vita si svolge in coppia. Io e mio marito abbiamo la stessa passione, e insieme siamo andati a camminare in mezzo mondo. In posti lontani, come Tibet, Australia, Patagonia, ma anche in quelli del nostro Paese, ricchi di bellezza e umanità. Se hai la fortuna di aver trovato una persona con la quale hai costruito il cammino della tua vita, vuoi che quella persona ti sia vicino anche nei Cammini.
Per noi camminare in due raddoppia le percezioni senza nulla togliere alla reciproca autonomia, perché ognuno di noi, da tempo, ha imparato a rispettare lo spazio dell’altro. Ed è molto bello quando, alla fine della giornata di cammino, i nostri due spazi si incontrano di nuovo e si raccontano. O darsi il buongiorno dopo aver dormito in tende diverse, per far star meglio i compagni di gruppo. L’importante è non chiudersi, in sé stessi come nella coppia.
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Certo, è più forte anche il senso di sicurezza. E se sui Cammini non si corrono grossi rischi, nel trekking il piccolo incidente è sempre in agguato, ed è bene non essere soli o, quantomeno, seguire le buone regole, come lasciar detto a qualcuno dove sei diretto. Ma non è la sicurezza la molla principale. Per noi due, sia nella Road to Rome che nei tanti viaggi-trekking fatti, ogni giornata è stata un arricchimento moltiplicato, perché ognuno dei due parlava con persone diverse, viveva momenti diversi, scopriva particolari che l’altro non notava e la sera ci raccontavamo tutto. Contemporaneamente, ognuno sapeva che l’altro c’era sempre. Sulla Francigena, io l’ho affiancato, arrivando a Otranto quasi al tramonto, quando lui ha avuto bisogno di fermarsi per un problema a un piede. Lui, nonostante non abbia la mia passione per la fotografia, si è fatto in quattro per realizzare immagini e video con cui, la sera, cercavo di condividere sui social le emozioni della giornata.
E, last but not least, facciamo insieme i progetti per i prossimi Cammini. Stiamo sognando il Cammino Materano – magari con l’aiuto di Micky e Teresa, che abbiamo conosciuto a Lecce – e un altro tratto di Francigena, con qualcuno dei nuovi amici che abbiamo incontrato sulla Road e che continuiamo a sentire. Camminare con qualcuno non impedisce contatti, piccoli aneddoti o nuovi legami. Se ciò accade, dipende solo da noi.