Sin dal 1994, secondo una legge regionale, la Sacra di San Michele è il “monumento simbolo del Piemonte per la sua storia secolare, per le testimonianze di spiritualità, di ardimento, d’arte, di cultura e l’ammirevole sintesi delle più peculiari caratteristiche che può offrire del Piemonte, nonché per la sua eccezionale collocazione e visibilità”. Il riferimento è una sintesi perfetta per descrivere questo monumento unico nel suo genere, che da più di mille anni domina il tratto lungo la statale del Monginevro, nella Val Susa, sulla Via Francigena.
Insieme a Visit Piemonte, partner del progetto della Regione Piemonte “Via Francigena for all”, ne vogliamo ripercorrere la storia, ma soprattutto l’alone di mistero che la circonda e che ha ispirato persino Umberto Eco nel descrivere l’ambientazione del romanzo “Il Nome della Rosa”.
Le origini della Sacra tra storia e leggende
L’Abbazia di San Michele della Chiusa, nota come Sagra o Sacra di San Michele, si staglia ad un’altezza di 962m sul Monte Pirchiariano nel comune di Sant’Ambrogio di Torino, a 40 km dal capoluogo piemontese. Il complesso è il risultato di una serie di interventi e stili architettonici, apportati nei secoli, che vanno da quello romanico al tardogotico, tra periodi di ampliamento e di declino, in cui tuttavia divenne una rilevante meta spirituale e culturale di viandanti e pellegrini. A partire dal 1622, la gestione della Sacra, non essendo presieduta da alcun ordine religioso, venne abbandonata per quasi duecento anni. Fu infatti solo nel 1836 che Carlo Alberto di Savoia decise di riportarla al suo splendore, grazie anche all’opera di restauro dei padri Rosminiani, e renderla luogo di sepoltura di ben 24 membri del casato.
Tuttavia, più che le vicissitudini politiche e artistiche, ad incuriosire sulle origini di questo complesso sono le leggende che lo circondano. Si narra infatti che l’avvio dei lavori, risalente tra il 983 e il 987 d.C., fu ad opera di San Giovanni Vincenzo, al tempo arcivescovo di Ravenna, che aveva deciso di vivere da eremita sul Monte Caprasio, posto esattamente di fronte al monte Pirchiriano, sull’altro versante della valle, edificando una chiesa nel borgo di Celle. Per ben tre volte, però, i materiali che erano stati preparati per la costruzione sparirono e lo stesso Giovanni Vincenzo scoprì che gli angeli avevano trasferito il tutto sul Monte Pirchiriano per indicare il luogo dove doveva essere edificata la chiesa.
Perché prende il nome di Sacra? Sempre secondo la leggenda, e quanto letto dallo storico Emanuele Vecchio sulla “Chronica monasterii sancti Michaelis Clusini “(1058-1061), quando Giovanni Vincenzo chiese al vescovo di Torino, Amizone, di consacrare la chiesa, durante la notte in cui soggiornava ad Avigliana si vide “una colonna di fuoco che scendeva dal monte”. La mattina dopo, il vescovo e i fedeli recatisi sul posto trovarono che la chiesa era stata unta con oli profumati, perciò resa oggetto della “diretta consacrazione divina e angelica”. Da qui il nome Sacra, che significa “già consacrata”.
Tra i prodigiosi eventi verificatisi ci sono anche le apparizioni di San Michele sul monte, alla vista di Hugon di Montboissier, il governatore di Aurec-sur-Loire che per ottenere l’indulgenza dei suoi peccati dal Papa assunse l’incarico di proseguire i lavori della costruzione dell’Abbazia per 7 anni. Attorno alla chiesa costruì quindi il cenobio poi affidato ai benedettini, coloro che realizzarono la foresteria di cui oggi rimangono i pochi resti della ricostruzione alla fine del XIX secolo e che gestirono la Sacra per circa i seicento anni a seguire.
Alla chiesa si arriva percorrendo lo “Scalone dei morti”, un percorso di 243 scalini scavato nella roccia, che prende questo nome perché fino al 1936 nella nicchia sul lato destro erano esposti gli scheletri mummificati di alcuni monaci ad ammonimento di “memento mori”, poi spostati nell’ossario sottostante. A questa struttura, suddivisa in due rampe con un pilastro di 18m che sorregge la chiesa sovrastante, sono legate alcune storie curiose. Si dice infatti che un giorno, un uomo dalla folta barba si presentò in Abbazia per chiedere rifugio e che nonostante le perplessità sulla sua identità fu accolto. Poco tempo dopo l’uomo morì e alcuni monaci sostennero di aver visto il suo fantasma fluttuare sul sagrato.
L’altra vicenda, per cui lo scalone prende anche il soprannome di “scala dei sorci”, è legata al sacrestano Bernardino che ogni sera si recava a chiudere la porta di ingresso alla base dello scalone. Tuttavia, in una notte tempestosa, una folata di vento spense la sua torcia e contemporaneamente chiuse la porta di ingresso al monastero. Nel tentare di raggiungerla al buio, il sagrestano udì rumori di ossa sulla pietra e, una volta accortosi di essere rimasto chiuso nello scalone, vide alla luce di un fulmine un teschio che saltellava sui gradini. Preso dal terrore iniziò ad urlare. Fu l’abate a soccorrerlo e, alla luce della torcia, sollevò il teschio rivelando la presenza di un topolino.
Il nucleo dell’edificio è l’abbazia, a cui si sono aggiunti nel tempo la Nuova Chiesa e il Monastero Nuovo, di cui fa parte la Torre della Bell’Alda, alta 20m e che si affaccia sul precipizio. Si narra che, tra il XIII e il XIV secolo, su questa torre una fanciulla di nome Alda si rifugiò per evitare di essere catturata e aggredita dai soldati di ventura che avevano invaso e saccheggiato l’abbazia. Tuttavia, percependo di non avere scampo, pregò e poi si gettò nel vuoto. Le sue invocazioni vennero accolte e, grazie all’intervento degli angeli, rimase miracolosamente illesa.
Tuttavia, dopo aver riportato l’accaduto ai compaesani, che si divisero tra chi le credette e chi no, si dice che la giovane, sia per vanità e superbia che per una scommessa in denaro, decise di saltare di nuovo dalla torre. Questa volta non vi fu alcun soccorso divino e morì. La vicenda si chiuse con la frase popolare “l tòch pi gròss a l’é l’orija” il pezzo più grande che rimase di lei fu l’orecchio. Nel presunto luogo dello schianto è presente una croce, con su scritta l’ultima strofa di una canzone popolare a lei dedicata: “La Bell’Alda insuperbita qui dal balzo si gettò / sfracellata nella valle / la Bell’Alda se ne andò”.
La linea sacra e “magica” del drago: una connessione tra il cammino e il mondo
Le Alpi Cozie divennero territorio dell’Impero Romano nel 63 d.C., e il luogo dove oggi sorge l’abbazia fu utilizzato come castrum, ovvero un presidio militare, prima dai Romani e poi dai Longobardi, e probabilmente anche dai Templari che si insediarono in Val Susa nel 1170 d.C. Non è un caso quindi che nel corso dei secoli sia divenuto il luogo di culto del guerriero di Dio per eccellenza contro le forze del male, l’arcangelo Michele.
Il culto dell’angelo si diffuse da Oriente in Occidente proprio grazie ai Longobardi, che rivedevano nel “princeps militiae caelestis” le doti del dio Odino, e per cui eressero diversi luoghi di culto, tra cui il Santuario di San Michele Arcangelo nel Gargano, in Puglia, lungo la Via Francigena. La diffusione della dedizione all’angelo portò, sempre nel Medioevo, alla costruzione del complesso di Mont Saint-Michel in Francia. Come per la Sacra, anche per l’edificazione di queste due chiese pare che l’angelo sia apparso ad indicare il luogo designato.
Inoltre, tutte e tre sorgono a una distanza esatta di mille chilometri l’una dall’altra, al centro di una “linea michelita” di 4000km che congiunge perfettamente altri quattro santuari dedicati all’arcangelo: in Irlanda (Skellig Michael), Inghilterra (St Michael’s Mount), Grecia (monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis nell’isola di Symy) e Israele (monastero di Stella Maris sul Monte Carmelo ad Haifa). Insieme, i 7 santuari formano un allineamento, che corrispondere al tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate.
Secondo la leggenda, l’allineamento dei santuari indicherebbe il colpo di spada che San Michele inflisse al Diavolo durante l’Apocalisse, descritta nel libro di San Giovanni, lasciando una linea energetica immaginaria, e viene denominato anche “linea del drago” poiché Lucifero, per il Cristianesimo, è il grande serpente o drago infernale.
La suddetta linea retta è una “Ley Line”, termine coniato dall’archeologo Alfred Watkins nel 1921, in due sue pubblicazioni “Early British Trackways” e “The Old Straight Track”, per indicare punti di allineamento geografico, ma allo stesso tempo di interesse spirituale. Nei punti in cui le “Ley Line” si intersecano infatti, convergono anche delle forze energetiche, provenienti dal centro della terra, ed è per questo che vi sono situati luoghi di culto, eretti nelle diverse epoche storiche. Pertanto, in ognuno dei sette santuari si troverebbe un luogo preciso, in cui percepire energia positiva. All’interno della Sacra, che è il centro della linea, questo punto sarebbe una piastrella di colore più chiaro delle altre, posizionata a sinistra, una volta varcata la soglia della Chiesa, vicino ad una colonna. Tuttavia, per alcuni è meglio non sostarvi per più di 7 minuti!
Inoltre, il 7 è il numero spirituale per eccellenza, che trova riferimenti non solo nel Cristianesimo, ma anche in altre fedi, e rappresenta anche i Chakra, i giorni dei cicli lunari, i colori dell’arcobaleno, i giorni della settimana e molto altro. Sarà un caso poi che, all’interno della Sacra, sul Portale dello Zodiaco, che insieme allo Scalone dei morti, rappresenta il viaggio dell’anima, dalla vita umana alla grazia divina, ci siano sette capitelli tutti diversi, per fattura, temi e materiali?
Se questa storia ti ha incuriosito, non ti resta che approfondire la conoscenza di questo luogo, candidato a sito UNESCO come la Via Francigena, con l’aiuto del partner Visit Piemonte, e metterti in cammino per visitare la Sacra, e la sua ricchezza storica, architettonica e mistica.
Informazioni pratiche:
La Sacra di San Michele è raggiungibile dalla città di Avigliana in auto o bici da strada. A piedi, sempre da Avigliana, col Sentiero dei Principi dalla località Mortera e da Sant’Ambrogio, Chiusa di San Michele e Vaie con le mulattiere. Oppure, con le attrezzature l’accompagnamento adeguati, anche salendo la via ferrata che parte dal parcheggio nei pressi del Lago dei Camosci a Sant’Ambrogio.